Cop28: a Dubai negli Emirati Arabi dal 30 novembre la conferenza Onu sul Clima

Giovedì prossimo 30 novembre aprirà a Dubai negli Emirati Arabi aprirà Cop28 la prossima conferenza delle Nazioni Unite sul Clima. La presidenza degli Emirati Arabi Uniti intende fare di questa Cop quella più importante dopo Parigi, con 100 mila partecipanti attesi, più del doppio rispetto a quella dello scorso anno (Cop27) tenutasi in Egitto. Si tratta di decine di migliaia di leader mondiali, ministri, negoziatori, ecoattivisti, industriali che raggiungeranno la federazione della penisola araba.

Tra i capi di Stato presenti ci sarà anche Papa Francesco che ha confermato il viaggio. Invece sarà assente il Presidente degli Stati Uniti d’America. Infatti, ne’ l’agenda di Biden né quella della sua Vice, Kamala Harris, entrambe pubblicate dalla Casa Bianca, fanno menzione di impegni a Dubai questa settimana.

La Cop28 è al centro di vive polemiche, in primis per la presidenza assegnata a Sultan Al Jaber, che è anche l’amministratore delegato della compagnia petrolifera e del gas di stato degli Emirati Arabi Uniti (Adnoc), la cui produzione di combustibili fossili è in crescita. Diversi attivisti e Ong hanno esortato Sultan Al Jaber a dimettersi dall’Adnoc, denunciando un evidente conflitto di interessi che minaccia il successo della Cop28, sintomatico della crescente influenza che la lobby dei combustibili fossili esercita sugli Stati e sulla stessa conferenza sul clima.

Un appuntamento importante, visto la situazione della crisi climatica. 

cop28 al jaber
Il sultano Ahmed Al-Jaber, presidente della Cop28

Secondo i dati ottenuti dal Guardian, in molti paesi il 10% più ricco delle persone causa fino a 40 volte più emissioni di carbonio che contribuiscono al riscaldamento del clima rispetto al 10% più povero dei loro concittadini.  Secondo gli esperti non tenere conto di questo enorme divario nell’elaborazione delle politiche di riduzione delle emissioni può causare un contraccolpo sull’accessibilità economica dell’azione per il clima. Gli stili di vita sontuosi dei più ricchi – l’1% – attirano l’attenzione. Ma quel 10% è responsabile della metà di tutte le emissioni globali, il che le rende fondamentali per porre fine alla crisi climatica.

Il vertice sul clima delle Nazioni Unite Cop28 inizia il 30 novembre, in un momento in cui la finestra per salvare un futuro vivibile per l’umanità si sta rapidamente chiudendo.  Quando iniziarono i negoziati sul clima negli anni ’90, la maggior parte della disuguaglianza nelle emissioni di carbonio delle persone avveniva tra le nazioni ricche e quelle povere. Tre decenni dopo, la situazione si è invertita. Ora, la maggior parte della disuguaglianza nelle emissioni tra ricchi e poveri esiste all’interno dei singoli paesi.

Questo cambiamento ha enormi implicazioni su come porre fine alla crisi climatica, dicono i ricercatori, anche se il sostegno internazionale alle nazioni più povere e meno inquinanti rimane vitale.  I dati dell’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) descrivono in dettaglio le emissioni di CO2 pro capite legate all’energia nel 2021 in una dozzina di paesi principali, più di 27 paesi dell’UE. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nell’UE e in Giappone, il 10% più ricco ha un’impronta di carbonio circa 15 volte maggiore rispetto al 10% più povero. In Cina, Sud Africa, Brasile e India, il 10% più ricco causa 30-40 volte più emissioni rispetto al 10% più povero.

Simonetta Cossu

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