Le foreste svolgono un ruolo essenziale nel garantire gli equilibri naturali e ambientali a livello globale. La crisi ambientale che l’umanità ha oggi di fronte, da più di 30 anni trova riferimento tecnico scientifico e giuridico in strumenti del diritto internazionale.
In particolare le tre principali Convenzioni ambientali dell’ONU, la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCC), la Convenzione sulla diversità biologica (CDB) e la Convenzione sulla lotta alla desertificazione (UNCD) e i discendenti Accordi, concorrono al perseguimento dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, il cui scopo è pervenire a una sempre maggiore equità mondiale a livello economico, sociale ed ecologico.

I cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e i processi di desertificazione dei suoli sono manifestazioni dello stato di sofferenza del Pianeta e sono tra loro strettamente correlati.
Le foreste rappresentano il bioma terrestre che più di ogni altro testimonia l’interdipendenza tra questi fenomeni e come tutte le componenti naturali del Pianeta, possono costituire un grande alleato dell’uomo, se ben gestite e adeguatamente estese, oppure, se degradate, sfruttate o distrutte da comportamenti dissennati dell’uomo, gli effetti sono gravissimi in termini di emissioni e di mancato assorbimento di CO2, di perdita di biodiversità animale e vegetale, e di degradazione dei suoli fino alla desertificazione.

Per quanto riguarda i cambiamenti climatici in atto – riconducibili all’aumento della temperatura media sul pianeta, derivante dall’eccesso dei cosiddetti gas climalteranti – è acclarato di come interferiscano sempre più sugli equilibri della biosfera e compromettano attività, benessere e sicurezza delle popolazioni con fenomeni meteorologici estremi, regimi pluviometrici alterati con lunghi periodi siccitosi, scioglimento progressivo dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari…
Nonostante le evidenze scientifiche siano chiare e ci sia una generale volontà ad operare per ridurre le emissioni e tendere a raggiungere la carbon neutrality (entro il 2050, ma alcuni Paesi importanti – Cina,
Russia, India – chiedono più tempo), al momento l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro 1,5 – 2 °C è fuori portata (IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change, 2022).

La perdita di biodiversità è un fenomeno altrettanto drammatico perché, da un lato determina la diminuzione dell’efficienza degli ecosistemi e, dall’altro, provoca la scomparsa di specie animali e vegetali necessarie per gli equilibri planetari e per la stessa sopravvivenza della specie umana.
Come è noto, ecosistemi con elevati livelli di biodiversità e di complessità riescono meglio ad adattarsi a perturbazioni esterne, anche causate dalla stessa crisi climatica.
Tale fenomeno non è percepito come emergenza planetaria dai decisori politici che, invece, dovrebbero
agire subito, di pari passo con l’emergenza climatica. Non è compresa l’importanza della biodiversità non solo dal punto di vista etico e funzionale per la conservazione, in quanto ogni specie o individuo ha una dignità e un ruolo ben precisi nella complessa piramide evolutiva dei sistemi viventi, ma anche dal punto di vista economico e si continua ad assistere alla contrapposizione tra le esigenze di sviluppo e quelle di conservazione delle risorse naturali.

Le due esigenze sono strettamente correlate in quanto è sempre più evidente che “il PIL è basato su un’applicazione errata dell’economia in quanto non include il deprezzamento del capitale naturale che è alla base della produzione di beni” (The Dasgupta Review, UK Government – 2021).
Ancora meno presente nel dibattito è la Convenzione sulla lotta alla desertificazione. La degradazione dei suoli, fino allo stadio irreversibile della desertificazione, è causata dalle attività umane e dal cambiamento climatico: tale processo riguarda oltre il 40% delle terre emerse mentre l’8% è già deserto. Il fenomeno è molto diffuso anche nel Mediterraneo e interessa in misura maggiore la Spagna, ma anche Bulgaria, Grecia, Romania, Portogallo e Italia. Occorre rimarcare che il suolo è la risorsa basilare per produrre cibo, per una popolazione mondiale che, nel 2050, sarà di 9,7 miliardi di persone e, inoltre, che è molto poco rinnovabile, dal momento che occorrono circa 2.000 anni perché si formino 10 cm di suolo fertile.
In tutti gli strumenti attuativi delle tre Convenzioni ONU, adottati nel corso delle Conferenze delle Parti (COP) indette periodicamente (annualmente o con cadenze biennali), la tutela delle foreste esistenti e la loro espansione viene indicata come condizione propedeutica e necessaria per il perseguimento degli obiettivi delle Convenzioni stesse.
Viene riconosciuta la multifunzionalità delle foreste perché, oltre a fornire materie prime rinnovabili, costituiscono gli ecosistemi più ricchi di biodiversità animale e vegetale, offrono un contributo importante nel mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici attraverso la sottrazione di anidride carbonica all’atmosfera, caratterizzano in modo determinante il ciclo dell’acqua influenzandone l’assorbimento e la regimazione, garantiscono la depurazione dell’aria e l’emissione di ossigeno, favoriscono il consolidamento dei suoli e dei versanti, contribuiscono al contrasto dei fenomeni di desertificazione.
Possiamo senz’altro dire che le foreste sono alleate fedeli dell’uomo per mitigare le criticità ambientali, sanitarie ed economiche globali, crisi climatica e coronavirus compresi: in cambio chiedono solo acqua, luce e una gestione saggia effettuata secondo i principi della sostenibilità.

Nonostante ciò, secondo i dati FAO, la perdita di foreste a livello mondiale, dal 1990 ad oggi, seppur rallentata nell’ultimo decennio (4,7 milioni di ettari per anno contro i 10 milioni di ettari/anno nel decennio 1990/99), è stata di 178 milioni di ettari (sei volte l’Italia). Oggi le foreste coprono una superficie di 4,06 miliardi di ettari (31% delle terre emerse) e più della metà è concentrata in soli cinque Paesi: Federazione Russa (20%), Brasile (12%), Canada (9%), USA (8%) e Cina (5%).

In Europa si assiste ad un aumento della superficie forestale (del 9% in 30 anni) e attualmente occupa il 35% del suo territorio. Analoga tendenza in Italia con un incremento di oltre il 5% di superficie forestale in 10 anni e oggi le foreste, con oltre 11 milioni di ettari, coprono il 36,7% della superficie nazionale.
Da questi dati si evince come l’attenzione verso le foreste si muove a due velocità: nei Paesi meno sviluppati la deforestazione, spesso illegale (illegal logging), rappresenta ancora il fenomeno dominante mentre in Europa e nei Paesi più ricchi si assiste a un aumento del patrimonio forestale.
Gli stessi Paesi sviluppati, però, non solo importano legnami pregiati provenienti dalle foreste tropicali, ma contribuiscono anche alla deforestazione “nascosta”, cosiddetta perché causata da produzioni non forestali (carne, soia, olio di palma, caffè, cacao…), la cui richiesta sul mercato globale induce i Paesi più poveri ad abbattere le foreste per fare spazio alle colture agricole.

Considerato che oggi la visione “One Health” ci ricorda l’interdipendenza assoluta tra la salute umana e quella dell’ambiente e della biosfera, sarebbe necessario “un governo mondiale” per sanare questa evidente contraddizione etica ed ecologica, che tende a soddisfare la domanda di legname e di alimenti facendo ricorso a una gestione delocalizzata e insostenibile.


Questo articolo a cura di Davide DE LAURENTIS (già vice comandante del comando unità forestali ambientali e agroalimentari dell’arma dei carabinieri) è stato pubblicato su Nuova Verde Ambiente n3 del 2023

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