L’inceneritore di Gualtieri: neanche c’è e già è vecchio

Il modello previsto a Roma brucia rifiuti “sporchi”

DI VINCENZO BISBIGLIA, IL FATTO QUOTIDIANO, 24 APRILE 2022

Il termovalorizzatore che propone Roberto Gualtieri per Roma è già vecchio. E potrebbe essere una tecnologia superata nel 2026, quando – è l’obiettivo dichiarato dal sindaco – il nuovo impianto dovrebbe essere avviato. L’Ue non ne ha previsto il finanziamento con i fondi del Pnrr – non lo ritiene in linea con gli obiettivi sui gas serra – e lo posiziona al penultimo posto (prima solo delle discariche) nelle priorità per la chiusura del ciclo dei rifiuti. Negli altri paesi europei, infatti, è già iniziata la “decarbonizzazione”, che porterà alla chiusura di parte degli inceneritori. Quello immaginato per Roma, invece, prevede l’emissione di 720mila tonnellate annue di Co2 nell’atmosfera (a fronte di 600mila tonnellate di rifiuti bruciati) e 6 miliardi di metri cubi di fumi caldi a una temperatura compresa tra i 160 e i 200 gradi.
“Tal quale”Il sacchetto nel “forno”Il modello citato da Gualtieri è quello di Copenaghen, con il famoso inceneritore con pista da sci inaugurato nel 2017. E poi c’è Brescia, costruito da A2A e aperto addirittura nel 1998. Entrambi gli impianti bruciano (anche) il cosiddetto “tal quale”. Cosa significa? Che l’inceneritore romano avrà la possibilità di mandare “in griglia” i sacchetti dell’immondizia così come si raccolgono in strada, e non solo il combustibile (Css) prodotto negli impianti di trattamento meccanico-biologico. È stato lo stesso Gualtieri, martedì scorso, a dire che il Tmb di Rocca Cencia (uno dei tre funzionanti in città) sarà chiuso. E che i dati forniti dalla sua predecessora, Virginia Raggi (obiettivo 70% di raccolta differenziata), erano “sbagliati”, in una città dove oggi l’immondizia non riciclata tocca quota 55%. “Bruciare il ‘tal quale’ ha un impatto sui costi – dice al Fatto Alessandro Marangoni, economista specializzato nei settori energetici e ambientali –. Per un impianto simile, l’investimento è nell’ordine dei 400-500 milioni, ma il costo può salire per la previsione e la manutenzione dei filtri. È un forno che brucia, anche se recupera l’energia”.
I CostiL’alternativa “chimica”Questi impianti, spiega Marangoni, “hanno una vita non inferiore ai 20 anni” e l’investimento “si recupera in non meno di 10 anni”. Due-tre decenni durante i quali l’impianto dovrà viaggiare al massimo della sua capienza. Fa notare Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe: “Parliamo di Copenaghen mentre la Danimarca annuncia un taglio del 30% degli inceneritori. I 23 impianti bruciavano 3,8 milioni di tonnellate, che i danesi divenuti ordinati non producono più: così erano costretti a comprare rifiuti da Regno Unito e Germania”. La stessa cosa è accaduta a Brescia e potrebbe succedere a Roma se si superasse il 70% di differenziata. In Giappone, invece, si sta tentando un processo di conversione alla cosiddetta tecnologia waste to chemical (letteralmente, “da rifiuti a prodotti chimici”, ndr). Lo ha fatto notare al sindaco perfino Manlio Cerroni, ex re dei rifiuti romani che da anni sta cercando di appioppare al Comune il rigassificatore da 160mila tonnellate di Malagrotta – ancora sotto interdittiva antimafia – e che ieri ha scritto a Gualtieri. In Italia questo tipo di impianti sono prodotti dalla società NextChem, che fa capo al colosso MaireTecnimont. Si tratta di una tecnologia che permette di non bruciare i rifiuti, azzerando la produzione di Co2 per ottenere metanolo, idrogeno, etanolo e urea. Gas che l’Italia fin qui ha importato dalla Russia.
Il caso politicoTensioni Gualtieri-ZingaGualtieri, a sei mesi dal suo arrivo, si è dovuto scontrare con una crisi irrisolta dal lontano 2013 e dal pressing dei romani. Per Maria Rosaria Boni, professoressa ordinaria in ingegneria sanitaria-ambientale all’Università Sapienza di Roma, ad esempio, “va trovata la soluzione più veloce, per abbattere le emissioni dei rifiuti di oltre 40%, parliamo di tecnologie molto avanzate”. L’annuncio del sindaco ha creato un terremoto politico nel Pd, avendo smentito e scavalcato Nicola Zingaretti: uno scontro non dichiarato. Il governatore aveva sempre escluso l’utilizzo di termovalorizzatori: ha respinto l’impianto A2A proposto a Tarquinia, ha bloccato il revamping dell’inceneritore di Colleferro (gettando via 12milioni di euro) e ha reso questa tecnologia impraticabile dal piano rifiuti. Lo ritiene dannoso per il consenso sul territorio. Anche su questo punto ha ottenuto l’appoggio del M5s, che lo tiene in sella alla Regione Lazio. Il neo sindaco, invece, punta tutto sulla multiutility Acea Spa. Il Comune di Roma ha una sua società, l’Ama, che gestisce i rifiuti – il nuovo Ad è un ex Acea – ma è fortemente indebitata e fonti autorevoli del Campidoglio sostengono non abbia la forza per un investimento simile. Acea, invece, è quotata in borsa, è al 51% del Comune ed è partecipata al 5,45% dal costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e al 23,33% da Suez Sa, fino al 2020 partecipata sempre dal gruppo Caltagirone. Non ricorrere ai “privati”, dunque, significa comunque finire tra le braccia del potente costruttore romano.

What's your reaction?
Thank you for your vote!
Post rating: 0 from 5 (according 0 votes)

Aggiungi Un Commento

Rimani sempre aggiornato

Cambia il pianeta insieme a noi, rimani informato con la newsletter VAS

Powered by: nabo.digital © 2024. All Rights Reserved.

vai su