Bibiana Martin Vita al parco

Sam Mednick, Al Jazeera, Qatar. Illustrazione di Ale & Ale

INTERNAZIONALE 14 APRILE 2022

Da quando aveva dodici anni fa la guardia forestale in una riserva del Sud Sudan. Non ha mai smesso di difendere gli animali e le piante nonostante la guerra civile che ha messo in ginocchio il suo paese

Bibiana Martin ricorda a malapena il periodo in cui non viveva o lavorava nelle foreste. Ha 32 anni e protegge le riserve naturali del Sud Sudan da quando ne aveva dodici.

Visto che la sua famiglia non poteva permettersi di mandarla a scuola, un giorno implorò suo nonno di darle il permesso di entrare nelle guardie forestali. “Mi dicevano ‘sei troppo giovane’, ma io mi rifiutavo di ascoltarli. Se non potevo studiare, non volevo neanche starmene seduta a casa”, racconta gesticolando e ridendo molto durante tutta la nostra conversazione. Sorseggia il suo caffè mattutino accanto a un piccolo fuoco nell’accampamento delle guardie forestali che si trova ai margini della riserva di caccia di Bangangai, nel sudovest del Sud Sudan, vicino al confine con la Repubblica Centrafricana.

L’accampamento è un luogo anonimo e sperduto. Diverse capanne di paglia costeggiano l’area, ognuna con un piccolo giardino, dove le guardie forestali che ci abitano di solito coltivano le verdure. Alcune panche di legno e sedie di plastica sono sistemate intorno a quella che qui chiamano “la cucina”: in realtà è solo un fuoco con alcune pentole, dove le persone preparano a turno i loro pasti a base di riso e fagioli. Martin racconta i suoi primi anni con la forestale, quando su 25 funzionari c’erano solo tre donne. A distanza di anni, combatte ancora per proteggere i parchi e gli animali del paese, messo a dura prova da una lunga guerra civile che dal 2013 al 2018 ha causato la morte di quasi quattrocentomila persone e ha generato milioni di sfollati, Martin deve vedersela con la scarsità di risorse, il bracconaggio e il degrado della foresta.

La riserva di Bangangai ha una superficie di circa 170 chilometri quadrati ed è una delle diciannove aree protette del Sud Sudan – tredici riserve di caccia e sei parchi nazionali – che coprono più del 13 per cento del territorio. Il territorio ospita, tra le altre specie, scimpanzé, bongo (un’antilope delle foreste pluviali) e il gatto dorato africano, un felino selvatico, ma gli animali non sono facili da avvistare. Molti sono fuggiti o sono morti durante la guerra civile, quando i parchi erano occupati da gruppi armati.

Questa parte del paese è stata teatro di conflitti anche nel 2021: i combattimenti tra il governo e le milizie che sostengono l’opposizione nella contea di Tambura hanno costretto circa ottantamila persone a lasciare le loro case e hanno causato centinaia di vittime. L’accampamento delle guardie forestali invece è rimasto un’oasi di pace. Le guardie forestali sono convinte di fare qualcosa di molto importante qui e cercano di ricostruire quello che è stato distrutto durante gli anni della guerra.

In tenda nella foresta

Martin finisce il caffè. Si sistema la pistola per la ricognizione del mattino, prende l’acqua e segue i colleghi nel parco. In mezzo agli alberi, con la sua aria giocosa, più che camminare sembra ondeggiare. Controlla il terreno e le piante alla ricerca di tracce di animali.

Ogni volta che le guardie vedono delle impronte, si fermano e registrano la loro posizione con il gps. Le ricognizioni possono durare qualche ora, ma di solito ci vogliono dai cinque agli otto giorni e chi partecipa alle spedizioni dorme dentro una tenda nella foresta. Fanno tutto a piedi, usando pochi veicoli a motore. Oltre a seguire le tracce, controllano le telecamere piazzate attorno alle trappole – che registrano i movimenti degli animali e fanno da deterrente per i bracconieri – e si assicurano che tutti i cartelli siano ben visibili.

Parte del lavoro di Martin consiste nel sensibilizzare la comunità locale, spiegando l’importanza di preservare i parchi e di non uccidere gli animali. Inoltre cattura i bracconieri, o almeno ci prova. Anche se le guardie forestali hanno dovuto interrompere i loro pattugliamenti durante la guerra civile – in quel periodo lei è rimasta al quartier generale di Tambura –, nel corso degli anni ha arrestato una decina di persone, dice, anche se spesso i fermati sono rilasciati con un semplice ammonimento.

Nata a Tambura, un centro abitato lontano circa 150 chilometri dalla riserva di Bangangai, da ragazza Martin sognava di andare a scuola. Comprava penne e quaderni al mercato, ma quando si presentava in classe era cacciata perché i suoi genitori non avevano pagato la retta. “Rimpiango il fatto di non aver studiato”, dice Martin. “Se l’avessi fatto, potremmo comunicare in inglese”, scherza in azande, la sua lingua. Ma l’assenza da scuola non le ha impedito di voler fare qualcosa nella vita. Suo nonno, con cui è cresciuta, era una guardia forestale. E così a dodici anni seguì le sue orme, lavorando nella sede della città di Tambura.

All’inizio lavorava gratis. Andava in ufficio la mattina presto per fare le pulizie, preparava il tè e imparava la disciplina, oltre all’importanza di rispettare la legge. Si manteneva producendo alcolici e vendendo tè al mercato. Poi fece l’addestramento per i forestali, e a quindici anni le diedero una pistola – all’epoca possedere armi da fuoco era illegale, con il sud e il nord del Sudan ancora teoricamente uniti, ma in realtà già in guerra tra loro – e cominciò a pattugliare le piccole città e gli accampamenti vicino ai parchi che circondano la riserva di Tambura.

A quindici anni ricevette il suo primo stipendio, all’epoca l’equivalente di circa trecento dollari. Per lei fu un momento memorabile, che compensò la tristezza causata dal non poter andare a scuola. “I miei genitori non riuscivano a pagare le tasse scolastiche, ma dio mi ha permesso di lavorare con i forestali”, commenta.

La toppa nella manica

Negli anni successivi Martin ha lavorato nello stato dell’Equatoria occidentale (uno dei dieci stati del Sud Sudan). Ha fatto carriera. Raggiante, indica la toppa sulla sua manica destra, che mostra la promozione a secondo tenente guadagnata nel 2011, lo stesso anno in cui il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza. Finita la guerra civile, Martin voleva una nuova sfida e ha chiesto di trasferirsi nella riserva di caccia dove ora vive con una delle sue tre figlie, Victoria. Abitano in una di quelle piccole capanne con l’orto di fronte, a cui Martin dedica molto tempo quando non è di pattuglia. Anche se non può andare in ricognizione con lei, Victoria le dà una mano a gestire l’accampamento, raccogliendo l’acqua e curando l’orto. Varie volte al mese Martin pattuglia la riserva a piedi con altri forestali, spesso restando nella tenda per una settimana. Quando è via, lascia sua figlia alla base con altri colleghi.

Martin si è sposata a diciotto anni, ma ha divorziato undici anni dopo. Accarezzando la guancia di Victoria, dice che non ha alcuna voglia di risposarsi. È concentrata solo sul guadagnarsi da vivere e dare ai suoi figli le opportunità che lei non ha mai avuto. Le altre due figlie vivono con dei parenti nella città di Yambio, dove frequentano la scuola. Martin vuole mandare presto anche Victoria a scuola: “Il mio sogno è costruire una casa di cemento per le mie figlie sulla mia terra, scavargli un pozzo e farle studiare”.

Isolata e sperduta, la vita nell’accampamento non è facile. Non ci sono elettricità o trasporti. La città più vicina è a nove chilometri e non c’è copertura telefonica. Se vuole chiamare il quartier generale, gli amici oppure la famiglia, Martin deve camminare per quattro ore, più volte alla settimana.

Ma lei è abituata alle difficoltà. “Durante la guerra civile il telefono non prendeva da nessuna parte, dovevi scrivere lettere e consegnarle a mano, poteva volerci anche una settimana”. Martin è una delle poche donne nell’accampamento, quindi sa come rimettere in riga gli uomini, specialmente se hanno bevuto troppo. Gli fa dei video mentre sono ubriachi e poi li costringe a scusarsi se sono stati maleducati. Molto rispettata tra i colleghi, è energica e, quando nelle ricognizioni si muove con quel passo ondeggiante tra gli alberi, fa divertire tutta la squadra.

Vivere senza stipendio

Se non è di pattuglia, Martin si occupa delle attività di sensibilizzazione, rivolgendosi a circa tremila persone. Ha riunito i leader della comunità e i religiosi in gruppi e ha tenuto discorsi sul perché è fondamentale proteggere i parchi e non uccidere gli animali. Vuole aiutare le generazioni future. “Se non lo faccio io, non lo farà nessuno”, dice.

Eppure è difficile guadagnarsi da vivere in Sud Sudan. Il salario dei dipendenti pubblici è misero. I forestali guadagnano meno di cento dollari al mese – sono pagati dallo stato – ma spesso possono passare sei mesi prima che ricevano uno stipendio. Martin dice che non sa nemmeno quanti soldi le spettino.

L’ultima volta che l’hanno pagata è stato un anno e mezzo fa. Fa affidamento sui cinque dollari al giorno che guadagna durante le ricognizioni, grazie all’associazione britannica Fauna & flora international (Ffi), l’unica organizzazione internazionale di tutela ambientale attiva nel paese, che si occupa anche di addestrare i forestali e fornire aiuto logistico, per esempio consegnando i pasti.

Il Sud Sudan è stato colpito duramente dal cambiamento climatico. Il paese ha vissuto tre anni d’inondazioni devastanti, che hanno colpito circa 850mila persone e ucciso centinaia di migliaia di capi di bestiame. Eppure il governo investe poco sulla tutela ambientale: ci sono solo un centinaio di guardie forestali, che con una sola automobile e senza walkie-talkie, sono incaricate di proteggere le foreste e la fauna dell’Equatoria Occidentale, in gran parte senza copertura telefonica.

Anche se la protezione delle foreste non è una priorità per questo paese indebolito dalla guerra – nel bilancio 2019- 2020 per la tutela ambientale è stato stanziato meno dell’un per cento del bilancio nazionale, circa 5,8 milioni di dollari – gli ambientalisti sostengono che è un’attività fondamentale.

“Il Sud Sudan ha il potenziale per diventare un gigante del continente in materia di tutela dell’ambiente”, dice Benoit Morkel, rappresentante del Sud Sudan per l’Ffi. “Naturalmente, di fronte a tante altre emergenze, forse la tutela dell’ambiente non è in cima ai pensieri della gente, ma una migliore gestione di questi parchi incredibili contribuirebbe in modo significativo allo sviluppo sostenibile. E, considerando lo situazione economica del paese e la crisi climatica, bisogna fare presto”.

Durante la guerra civile pattugliare i parchi era troppo pericoloso, ma dopo le guardie sono tornate, sperando di rendere le riserve più abitabili per gli animali. Martin e i suoi colleghi sono orgogliosi di quello che fanno, e dicono che di recente hanno avvistato più animali. Forse, grazie ai loro sforzi, alcuni stanno tornando oppure non fuggono né sono preda dei cacciatori di frodo.

Gli ostacoli e le minacce, tuttavia, restano. Da quando è stato firmato un fragile accordo di pace del paese, nel 2020, il bracconaggio fuori delle aree protette è aumentato. Questo perché il calo dei conflitti armati ha permesso alle persone di muoversi più liberamente e uccidere gli animali, come sostengono le persone del posto e gli ambientalisti.

I forestali e i membri della comunità che vivono vicino alle aree protette spiegano che, tra i motivi che spingono a uccidere gli animali, c’è anche la mancanza di lavoro, perché la gente è alla disperata ricerca di soldi. Durante la guerra le persone avevano paura di spostarsi, ma oggi si sentono spari nelle foreste e gli abitanti del posto raccontano che al mercato viene venduta più carne di animali selvatici rispetto agli anni precedenti.

I forestali dicono di essere mal equipaggiati per sorvegliare le vaste aree intorno ai parchi. Sono a corto di attrezzature per la comunicazione e il trasporto. Il governo ha dichiarato che sta facendo il possibile per proteggere i parchi e la fauna selvatica, ma ha poche risorse quindi è difficile perlustrare le aree e catturare i bracconieri. “Non abbiamo binocoli, nessun supporto statale. Però ci servono automobili, telefoni e telecamere”, dice Joseph Mathew Waure, un capo guardiano di Bangangai. A settembre le guardie forestali hanno catturato un bracconiere e l’hanno tenuto nella loro base perché non avevano un veicolo per trasportarlo in città. Ma dopo un mese l’uomo è scappato di nuovo nella Repubblica Democratica del Congo.

Anche il persistere degli scontri – come le violenze nella contea di Tambura – è un ostacolo alla protezione dei parchi. Per questo motivo è stato chiuso un accampamento delle guardie forestali nel Parco nazionale di Bandingilo.

Un appello alle donne

Eppure, nonostante questi problemi, Martin dice che continuerà a lottare. Non solo perché vuole proteggere i parchi, ma perché spera che il suo lavoro spinga le donne sudsudanesi a prendere il controllo della loro vita.

In piedi al centro dell’accampamento dei forestali, parla con orgoglio e forza di fronte ai suoi colleghi maschi, che sono in maggioranza. “Il mio messaggio alle donne del Sud Sudan è: ‘Non siate pigre, fate qualsiasi tipo di lavoro per trovare la vostra strada’”, dice. E aggiunge: “In questo modo potrete mandare i vostri figli a scuola, specialmente le bambine. Non lasciate che perdano tempo e non lasciate che rimangano a casa”.

Durante la guerra civile pattugliare i parchi era troppo pericoloso, ma poi le guardie sono tornate e ora sperano di rendere le riserve più abitabili

Biografia

◆ 1990 Nasce a Tambura, in Sud Sudan, e cresce insieme a suo nonno.

◆ 2002 A soli dodici anni entra nelle guardie forestali.

◆ 2005 Riceve il suo primo stipendio.

◆ 2011 È promossa al grado di tenente, nell’anno in cui il Sud Sudan diventa indipendente.

◆ 2013 Scoppia la guerra civile tra le forze governative del presidente Salva Kiir, di etnia dinka, e quelle fedeli all’ex vicepresidente Riech Machar, di etnia nuer.

◆ 2018 Si trasferisce in pianta stabile nella riserva naturale di Bangangai.

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