L’Ue trovi un’alternativa all’allargamento Nato

DI GAD LERNER, IL FATTO QUOTIDIANO, 16 APRILE 2022

Ogni giorno che passa di questa sporca guerra che ha per epicentro l’Ucraina, ma che tende ad allargarsi per onde concentriche, ci ritroviamo un guaio in più. È la solita storia: le guerre si sa come cominciano ma non si sa come finiranno. La novità arriva da Nord: per tutelarsi dalla comprovata aggressività di Putin due nazioni pacifiche, la Finlandia e la Svezia, finora neutrali, vogliono aderire alla Nato. Pessima notizia, direte: completa l’accerchiamento della Russia, aumenta i rischi di estensione e di cronicizzazione di una guerra che Putin giustifica per “legittime preoccupazioni di sicurezza”… Ma, c’è un ma. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina la maggioranza dei finlandesi e degli svedesi ha iniziato a chiedere ai loro governi di metterli al riparo sotto l’ombrello dei missili Nato. Si sono presi paura. Sono dei guerrafondai? Mettiamoci nei loro panni e poi chiediamoci: i loro interessi contrastano con i nostri? E in tal caso: la loro volontà, per noi, conta? Situazione maledetta, come ti muovi sbagli. Dobbiamo pur riconoscere che le “preoccupazioni sulla propria sicurezza” dei finlandesi, così come degli ucraini, sono ben più stringenti di quelle accampate dalla superpotenza russa dotata di arsenale nucleare. Più di una volta, nel secolo scorso, le minacce di Mosca nei loro confronti si tradussero sanguinosamente nei fatti. Lo ricordano bene.
Non sappiamo se l’attacco russo all’Ucraina sia davvero “l’ultimo gemito di un Paese sovraesteso”, come sostiene Jacob Shapiro, o se Putin possa venir tentato, per disperazione, di sferrare altre operazioni criminali. Probabilmente non lo sa nemmeno lui. Per questo la situazione peggiora e si fa sempre più pericolosa. Del resto – pur ammettendo per un attimo che noi dovessimo infischiarcene della volontà popolare ucraina di resistere all’occupazione russa – chi può davvero essere certo che la resa di Zelensky avrebbe scongiurato un bagno di sangue? Ovvero che l’autodifesa messa in atto dai militari ucraini non abbia salvato molte più vite di quante ne ha sacrificate? Giunti al punto in cui ci troviamo, scongiurare un prolungamento del conflitto impone ai governi europei una difficile assunzione di responsabilità. Davvero si illudono che l’allargamento della Nato avvicini la pace e non il contrario? Finora non si sono pronunciati. Crescono piuttosto le tensioni interne, a conferma del fatto che l’esistenza di un blocco occidentale compatto fosse solo un’illusione ottica. Per quanto Zelensky, incoraggiato dall’oltranzismo di Usa, Regno Unito e Polonia, prema nella direzione di un coinvolgimento diretto dell’Ue – passando dalla richiesta della No Fly Zone, alla fornitura di armamenti pesanti, allo stop immediato dell’import di gas e petrolio russi – l’asse franco-tedesco frena. Berlino e Parigi sopportano le pubbliche reprimende del presidente ucraino, pur continuando giustamente a sostenerlo, ma sono consapevoli che gli interessi europei non coincidono con il revival atlantista. Lo stesso imponente riarmo tedesco annunciato da Scholz, così come l’apertura francese sulla condivisione dell’arsenale nucleare con la Germania, lasciano intendere che ci troviamo di fronte a una svolta storica: un’eventuale futura difesa comune europea non potrà essere semplicemente “complementare” alla Nato. Se sarà, sarà altra cosa. Grazie alla sua natura sovranazionale, la Ue può rappresentare un antidoto al veleno del nazionalismo etnocentrico che la guerra inietta in dosi letali. Ha interesse a una convivenza in sicurezza reciproca con la Russia, fondata su accordi di disarmo e sulla ripresa dell’interscambio commerciale.
Come già la Turchia e Israele, anche l’Europa è chiamata a scegliere tra una linea di totale acquiescenza agli Stati Uniti – i quali peraltro continuano a dichiarare l’intenzione di un disimpegno dal vecchio continente – o il trasformarsi in potenza autonoma. Questa, in prospettiva, è l’unica alternativa all’allargamento della Nato che noi potremmo essere in grado di offrire agli ucraini, ai finlandesi, ai baltici, ai polacchi, tutti giustamente impauriti: una politica di sicurezza e di cooperazione europea. Oggi non è facile rassicurare questi popoli fratelli suggestionati dalle dichiarazioni roboanti provenienti da palazzi lontani, siti oltre Atlantico e oltre Manica. Ma noi siamo i loro vicini. Noi abbiamo bisogno di materie prime a portata di gasdotto come loro. Noi dovremo vivere accanto a una Russia che non precipiti nel caos, anche dopo Putin.
Rilevo che ora pure Enrico Letta stempera i suoi toni bellicosi, critica il niet di Kiev alla visita del presidente tedesco, condivide le perplessità di Macron sull’abuso della parola “genocidio”, si dissocia dall’accordo per il gas con l’Egitto di Al-Sisi. Draghi invece tace. Speriamo che al dunque si lasci rimorchiare da Scholz e Macron.

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