Morandi, tutti a processo (ma le società patteggiano)

A giudizio i 59 imputati, a partire dall’ex ad Castellucci. Report falsati per nascondere la scarsa manutenzione e risparmiare 27 milioni

Di MARCO GRASSO, IL FATTO QUOTIDIANO, 8 APRILE 2022

All’uscita dal tribunale, Paola Vicini si abbandona a un pianto liberatorio: “È un’emozione forte. Questa decisione ci toglie un po’ di peso dal cuore”. Il suo è un volto simbolo della tragedia del Ponte Morandi. Una madre coraggio rimasta quattro giorni e quattro notti, sotto la pioggia, dormendo sulle brandine dei vigili del fuoco, in attesa che i soccorritori le restituissero le spoglie del figlio Mirko, ultimo corpo estratto dalle macerie. Il “peso” è la decisione appena pronunciata dai giudici: 59 rinvii a giudizio per la strage di Genova. “È un passaggio importante – commenta Egle Possetti, presidente del Comitato delle vittime del Morandi – il riconoscimento della solidità delle accuse”.
Il processo per la strage di Genova e i suoi 43 morti comincerà il prossimo 7 luglio, a quasi quattro anni da quel 14 agosto del 2018. Alla sbarra finiscono alcuni tra i più alti manager di Autostrade per l’Italia, tecnici della società di monitoraggio Spea Engineering (la controllata di Aspi che, in pieno conflitto di interesse, doveva monitorarne le infrastrutture) e funzionari del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, chiamati in causa per i mancati controlli. Il personaggio più noto è Giovanni Castellucci, l’ex amministratore delegato prima di Aspi e poi anche di Atlantia, la holding controllata dalla famiglia Benetton. Insieme a lui il giudice Paola Faggioni manda a dibattimento anche alcuni tra i suoi più stretti collaboratori, come Paolo Berti, ex direttore centrale Operazioni, e Michele Donferri Mitelli, ex capo delle manutenzioni, l’uomo intercettato dai colleghi mentre chiedeva di “abbassare i voti” dei viadotti, anche del Ponte Morandi. Tradotto, secondo i pm, coordinati dal procuratore Francesco Pinto, esisteva un input dall’alto per ammorbidire i rapporti sulla sicurezza: più il punteggio di quei report era basso, meno erano gravi i difetti strutturali e più si potevano ritardare gli interventi. Questo sistema di rapporti falsati è confluito in un’inchiesta bis che coinvolge, ancora una volta, la filiera guidata da Castellucci, che negli anni avrebbe garantito alla società concessionaria profitti miliardari, risparmiando sulle manutenzioni.
Escono dal processo le due società, indagate per responsabilità amministrativa: il giudice ha accettato il patteggiamento di Aspi e Spea, che prevede un risarcimento da quasi 30 milioni di euro. Una cifra che comprende 2 milioni di euro di sanzioni, e oltre 27 milioni di risarcimento a titolo di rimborso per “indebito profitto”. Sono i soldi che la società concessionaria avrebbe dovuto spendere per la ristrutturazione delle pile 9 e 10 del viadotto che invece hanno ceduto prima che iniziassero i lavori. A monte del disastro c’è una lunga serie di allarmi ignorati, dai primi rapporti del progettista Riccardo Morandi, che già nel 1979 indicava un degrado più rapido del previsto, fino a un documento sul rischio societario elaborato dalla stessa Aspi nel 2014: in quell’atto il Polcevera è l’unico ponte in Italia citato per il “rischio crollo per ritardate manutenzioni”. Una sinistra profezia che si è poi autoavverata. L’accordo consente ad Autostrade di sventare lo spauracchio di un commissariamento. Il paradosso è che in questo modo la società riconosce un pilastro dell’accusa: il fatto che l’intera rete, date le condizioni in cui versa dopo vent’anni di gestione del gruppo guidato dai Benetton, viene riconosciuta come un cantiere permanente; il passaggio che consente ai magistrati di contestare l’aggravante del mancato rispetto delle norme di sicurezza su luogo di lavoro. La tesi delle difese si basa invece sull’esistenza di un vizio occulto del Ponte Morandi, nascosto dallo Stato alla concessionaria: “Il teorema accusatorio contro Castellucci – dicono i suoi legali Guido Carlo Alleva e Giovanni Paolo Accinni – è una foglia d’autunno: gialla, tremula, che sta per cadere e cadrà”. Nel frattempo l’associazione dei consumatori Assoutenti, assistita da Luca Cesareo, ha avviato una class action, indirizzata a tre tipologie di danneggiati: sfollati, proprietari che hanno visto le case svalutarsi e persone colpite da sindrome da stress post traumatico. Un’altra class action, contro i danni provocati dai cantieri autostradali, è stata avviata dal consigliere regionale Ferruccio Sansa e dal senatore Mattia Crucioli. Il tribunale ha respinto, infine, le eccezioni avanzate dai legali degli imputati: non c’è stata compressione del diritto alla difesa nel deposito degli atti.

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