La proposta di intervento che viene presentata in questa nota si inserisce nel progetto più ampio di recupero degli uliveti abbandonati promosso a Rapallo (ved www.intefasce.it) e si ricollega alle tematiche affrontate dal III Convegno mondiale dei Paesaggi Terrazzati.
Il concetto di paesaggio dovrebbe rifuggire da visuali estetizzanti perché l’uomo che guarda astraendosi dalla storia del paesaggio agrario rischia di esprimere una finzione per nascondere e non comprendere il vero rapporto uomo- natura.
L’uomo interviene da secoli con la trasformazione del suolo agricolo, sottratto alla foresta e al bosco selvatico anch’esso trasformato in bosco produttivo (ad es nel castagneto con innesti che modificano il prodotto)
Anche le case agricole, le strade e quant’altro sono una trasformazione antropica del paesaggio originario che risale a epoche geologiche lontane .. ma da quando l’uomo è intervenuto per regimare le acque e per costruire terrazzamenti non può più abbandonarli, pena un degrado irreversibile ed è proprio quello che succede in questo tempo con l’abbandono delle campagne che prosegue da alcuni decenni e la polarizzazione verso le città e le metropoli.
Va notato che, nella alterazione e trasformazione del territorio, per molti secoli le modifiche sono state molto lente :il paesaggio agrario toscano del quattrocento non è molto diverso da quello ottocentesco.
La grande devastazione, anche rispetto agli assetti precedenti, avviene nel secolo scorso, tra le due guerre e in particolare dopo
la seconda.
Va analizzato il rapporto storico –geografico tra coltivo e selvatico e le modifiche subite nel tempo remoto e recente.
La meccanizzazione e la diffusone della chimica in agricoltura ha determinato una diffusa aridità della terra sempre più bisognosa di apporti idrici crescenti mentre il mantenimento della fertilità della terra come è noto risulta strategico.
Anche la perdita di permeabilità dei suoli rispetto alla copertura dilagante dei terreni per edilizia e infrastrutture che divorano terre per una urbanizzazione incontrollata (anche inutile come i capannoni per una industria inesistente e che hanno cancellato prati, siepi e ruscelli etc..)
Anche l’innesto nel secolo scorso e le manipolazioni genetiche in questo fatalmente incidono sulla biodiversità: infatti le specie originarie di mele ,peri, ciliegi etc. sono quasi scomparsi per il privilegio alla produttività.. e si affacciano nuovi ibridi, nuovi prodotti di contaminazione genetica (ved OGM)e modifiche dna di vegetali e animali che sembravano impensabili.
Il quadro è quello delineato ma per ritornare al punto dei muretti a secco, la premessa riguarda la inderogabile necessità di interventi per contrastare l’abbandono delle fasce collinari, pena un degrado irreversibile con costi noti e crescenti dopo le frane alluvionali, gli smottamenti dei muretti a secco , il degrado delle antiche crose, la diffusione di rovi, ligustri, acanto e altre essenze che soffocano l’ulivo spesso esca per incendi in periodi di siccità.
Le finalità del recupero sono quindi:
1 – consolidamento del territorio con riferimento all’assetto idrogeologico alterato negli anni;
2 – recupero produttivo di un prodotto di qualità quale l’olio di oliva e prodotti ortivi compatibili anche per appezzamenti di piccole dimensioni;
3 – tutela paesistica e della biodiversità (con valenza anche turistica).
Quali sono i soggetti e le risorse disponibili per un’impresa ciclopica come quella sopra delineata?
Fino ad oggi è stata negata l’identità dei luoghi con una edilizia incontrollata, pesi insediativi insostenibili sulla viabilità urbana, caos e inquinamento.
Il ciclo delle acque: dalla distribuzione dell’acqua dolce potabile per finalità incongrue (piscine, campi golf, porti turistici etc.) tutto a scapito dell’agricoltura persino introducendo divieti di irrigazione in periodi di siccità con la distruzione dell’ittiofauna dei torrenti.
Non esiste una mappa delle risorse idriche: pozzi, sorgive acque di subalveo così come non esiste una mappa dei sentieri di antico impianto compresi quelli interpoderali spesso preclusi da scelte private, con alterazioni irreversibili della accessibilità ai fondi.
La crescita urbana non ha tenuto conto dell’equilibrio di risorse rare come la fertilità della terra ad esempio e il discorso potrebbe continuare; per questo rimando alla ricca documentazione del convegno internazionale sui paesaggi terrazzati che vede la Liguria tra le regioni più ricche e fragili del nostro paese.
L’unica misura parzialmente finanziata da contributi regionali e CEE è quella relativa ai muretti a secco ma come è noto da un anno c’è un ritardo inspiegabile (con ridicoli e pretestuosi problemi informatici!) con il risultato che il contadino che cura l’uliveto ha provveduto, dopo le alluvioni, al ripristino dei muretti a secco a sue spese e solo quelli che hanno gli uliveti abbandonati potrebbero rifare i muri ma non lo faranno proprio per la scelta di abbandono e l’impegno di ripristino culturale per molti insostenibile.
Purtroppo si deve fare riferimento alla buona volontà dei singoli proprietari di uliveti ,considerando aleatori eventuali aiuti pubblici.
L’ipotesi di trovare mano d’opera qualificata che, in forma diretta o cooperativa, sia disponibile ad accettare un comodato d’uso gratuito deve fare i conti con i costi reali, molto alti che oggi ricadono sul proprietario dei fondi, a volte marginali con difficoltà di accesso e forte acclività.
Quali sono questi costi?
Li elenco senza impegnarmi in una dettagliata quantificazione degli stessi, anche se una gestione economica dell’azienda agricola anche piccola è imprescindibile ad ogni progetto di recupero:
1 – diserbo manuale o meccanico;
2 – scalzamento del ceppo da edera e polloni:
3 – espianto delle ceppaie secche;
4 – piccola concimazione e irrigazione;
5 – potatura (con annessa sramatura e frantumazione verde);
6 – trattamenti fitosanitari non tossici ;costi del prodotto –(caolino, trappole a feromoni o altro) e loro impiego manuale;
7 – disponibilità di decespugliatori, motozappe, motoseghe e quanto altro necessario; loro manutenzione e consumi;
8 – sistemazione e rimozione delle reti per la raccolta con bacchiatura o per caduta (le olive sane o parzialmente intaccate dalla mosca olearia, raccolte
verdi precoci o raccolte mature e ricche di olio corrispondono a scelte culturali diverse;
9 – costo del frantoio e valutazione del prezzo dell’olio, quando non per autoconsumo.
Una analisi dei costi aziendali che non comprende il valore in sé di un antico uliveto come avviene nell’ipotesi di un privato e/o di una cooperativa che acquisisce l’uliveto in comodato d’uso a tempo indeterminato con la garanzia di non dover lasciare il terreno prima della raccolta del prodotto (la stagione olivicola o il ciclo delle essenze ortive etc.).
Gli investimenti in lavoro o per gli strumenti della coltivazione vanno rapportati alla resa produttiva attesa che non ha sempre cadenza stagionale o annuale ,ad esempio in caso di potatura radicale la ripresa vegetativa può avvenire anche dopo alcuni anni!
Oltre il territorio collinare c’è anche quello fluviale che merita attenzione .
Negli anni 70 ho organizzato per conto di Italia Nostra e della Lega ligure per le autonomie locali il primo convegno sul fiume Entella il titolo era : ”Entella un fiume da salvare “ le conclusioni erano che molte erano le minacce presenti e di diversa natura ; anche allora la franosità e il dissesto idrogeologico ,la carente manutenzione delle sponde e la inadeguata gestione del territorio a monte.
La captazione dell’acqua in val fontanabuona per consentire ai comuni della costa consumi idrici esagerati per piscine, campi golf e porti turistici.
La situazione non è cambiata negli anni e la siccità estiva uccide la fauna ittica e impedisce anche l’agricoltura e l’orto frutta locali.
La gestione privata dell’acqua, come è noto, ha impedito un serio risparmio energetico e sistemi di depurazione adeguati in tutto il Tigullio per anni fino ai giorni nostri.
Anche escavazioni e prelievo eccessivo della sabbia hanno creato problemi (i due porti di Chiavari e Lavagna hanno ridotto il naturale rimpascimento degli arenili con costi esorbitanti per trasportare camion di sabbia dalla foce del fiume alle spiagge).
Il fiume bene comune veniva fruito da molti per interessi privati: dai cacciatori (prima dell’istituzione dell’oasi faunistica ) a insediamenti di aziende piccolo industriali in vicinanza delle sponde con vari scarichi inquinanti ;mentre gli orti lasciavano spazio ad usi incongrui come depositi,parcheggi, rotamat etc..
Quindi il convegno non pensava, come si afferma attualmente, ad un contratto di fiume tra soggetti privati ma ad un intervento pubblico che doveva avvalersi di competenze geologiche, naturalistiche e paesaggistiche( perché anche il paesaggio fluviale era minacciato) con risorse adeguate.
Dopo di allora la situazione è peggiorata :
– con il progetto di un muraglione assurdo sulla sponda di lavagna invece del ripristino del “seggiun”considerato che la recente alluvione non ha portato danno agli orti mentre sembra un intervento funzionale a nuove edificazioni;
– con il progetto demenziale di un’area di colmata davanti alla foce (dove portare i detriti del tunnel Rapallo-Fontanabuona).
Come è noto prima viene la valutazione del business,poi la convenienza di banche e imprese :poi gli enti locali si adeguano ovviamente per l’intreccio tra poteri pubblici e privati.
Nessuno che consideri prioritaria la tutela del bene fiume, dell’avifauna delle specie arboree ,della biodiversità, del paesaggio!
Prima dell’Entella è esondato il ministro Del Rio: con la soppressione delle Province e la creazione della Città metropolitana senza competenze e senza risorse ,in un rimpallo di responsabilità con la Regione mentre la gestione fluviale richiederebbe una visione di insieme senza sopravalutare gli aspetti urbanistici ed economici e anche giuridici per evitare conflitti di competenze o assenza di competenze chiaramente attribuite o, come spesso avviene, attribuzione di competenze senza risorse.
La Città metropolitana indica un ruolo egemone rispetto al territorio periferico :non è un problema semantico ma politico anche difficile da affrontare anche se molti hanno capito che i comuni minori decideranno ancora meno.
Anche l’idea di Renzo Piano di fermare la dilagante urbanizzazione creando una cintura verde attorno alla città- copiando il green belt di Londra- non convince perché Genova ha già le edificazioni in collina lontane dalla città che si sono rivelate un disastro: dal “biscione” alle “ lavatrici”.
Penso al contrario che città e campagna debbano comunicare ripristinando i vecchi sentieri che entrano nella città dalla collina; come anche fiumi e mare e boschi uniscono “urban e rural district”.
Quali livelli di autorità partecipata ?
Quali diritti di essere ascoltati e di avere risposte pertinenti?
Come il taglio arbitrario di risorse per i parchi regionali nato da un pregiudizio ideologico e dalla miopia amministrativa !
Parole quali ri-progettazione del paesaggio, verde attrezzato e similari destano qualche preoccupazione; a meno che non si tratti di recupero di aree degradate l’idea di lasciare un segno architettonico confligge spesso con la conservazione degli habitat.
Il verde è meglio se non è attrezzato a meno di interventi leggeri come una pista ciclabile,u na panchina, una staccionata.
Quindi cura del territorio come manutenzione (quella che facevano i contadini sui ruscelli e i sistemi di irrigazione(come ha ricordato Marco Bertani) piuttosto che alterazione come ad esempio la cementificazione delle ripe o l’intubazione di ruscelli e l’interramento di pozzi in disuso etc…
Meglio la ri-naturalizzazione degli argini, la riforestazione, la tutela della biodiversità e interventi contro il degrado geologico.
Occorre anche tutelare quei “valori d’insieme” come un paesaggio fluviale o un nucleo rurale o altre testimonianze della cultura materiale (come i pozzi a cicogna neppure censiti).
Negli uffici regionali e dell’area metropolitana esiste una ridondanza di dati e mappe statistiche non tutte utili mentre non si riesce ad avere:
– la mappa delle risorse idriche (oltre torrenti e affluenti anche sorgive e vene sotterranee etc);
– la mappa dei sentieri di antico impianto;
– il sistema acquedottistico e della rete nera nel suo sviluppo storico (eppure ogni nuovo tratto è stato accompagnato da una delibera e da un finanziamento ma sembra che se ne siano perse le tracce!
Ma ogni seria programmazione urbanistica deve partire da una conoscenza dello stato di fatto (della evoluzione degli interventi insediativi e delle
modifiche intervenute nel tempo,anche irreversibili, che hanno cambiato l’ identità dei luoghi)
Rino Vaccaro